Carlo di Borbone e la Basilicata
Nell’ambito del contesto relativo al «tempo eroico» del Regno di Napoli,
come fu definito dal ministro Bernardo Tanucci, ossia l’istituzione del
Regno autonomo sotto la dinastia dei Borbone, solo da alcuni anni la storiografia ha ripreso ad analizzare il primo ventennio del riformismo borbonico, relativo a una risistemazione della compagine statale e a una
ridefinizione delle direttrici di sviluppo del Mezzogiorno d’Italia. Certamente, dopo i fondamentali lavori generali di Michelangelo Schipa,
Benedetto Croce, Raffaele Ajello, Raffaele Colapietra e Pasquale Villani, un
nuovo impulso è stato dato da studiosi della scuola di Giuseppe Galasso e
di Augusto Placanica, con nuovi, approfonditi, studi relativi alla persona
di Carlo di Borbone al di là della tradizionale mitizzazione del “padre fondatore” del Regno quale fu imposta dalla pubblicistica fin dal cruciale 1759,
alla sua partenza per la Spagna1.
Particolare interesse, in tale direzione, riveste lo studio delle realtà delle
province del Regno di Napoli nel corso del primo trentennio del XVIII secolo, un’epoca solo da pochi anni rivalutata e studiata a livello locale, con uno scavo
archivistico ancora, certamente, agli inizi, ma che evidenzia come il Viceregno
austriaco e i primi anni del regno carolino vadano ancora “dissodati” per scoprire
le articolate realtà delle province che uscivano dalla crisi generale del Seicento
con variegati contesti politico-istituzionali e socio-economici.
Risulta, dunque, utile ricostruire, a partire dai contesti più generali, una
prima “mappatura” della situazione della provincia di Basilicata nel primo
trentennio del Settecento, con particolare attenzione alla dimensione
politico-istituzionale, con l’intrecciato articolarsi dei poteri feudali ed ecclesiastici, e a quella urbana.
* Abbreviazioni: Bbpm = Bollettino della Biblioteca Provinciale di Matera. Rivista di cultura
lucana; Bsb = Bollettino Storico della Basilicata; Dg = Descrizione della Provincia di Basilicata fatta
Per ordine di Sua Maestà, che Dio Guardi, da Don Rodrigo Maria Gaudioso Avvocato Fiscale Proprietario della Regia Udienza di detta Provincia, in Biblioteca Nazionale di Napoli, Manoscritti, XIVII-39. 1 Cfr., ora, M. Mafrici, Il re delle speranze. Carlo di Borbone da Madrid a Napoli, Napoli,
Guida, 1998; G. Caridi, Essere re e non essere re. Carlo di Borbone a Napoli e le attese deluse
(1734-1738), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006; Id., La modernizzazione incompiuta nel Mezzogiorno borbonico. 1738-1746, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012; E. Papagna, La corte di
Carlo di Borbone il re «proprio e nazionale», Napoli, Guida, 2011.
n. 27 93
Mediterranea - ricerche storiche - Anno X - Aprile 2013
Antonio D’Andria
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In una provincia interna come la Basilicata era ancora prevalente, all’interno delle singole comunità rurali, un’organizzazione chiusa e fortemente
gerarchizzata, nella quale il sacerdote-amministratore svolgeva un ruolo di
primaria importanza. Intorno a questa figura ruotavano non solo interessi
religiosi, ma anche di carattere economico, attraverso censi sulle case e sui
terreni, di concessioni e fitti per il pascolo come anche sui piccoli appezzamenti di terra coltivata. Tale tipologia di società a “grappolo” non era esclusiva delle chiese ricettizie, ma propria anche dei nuovi gruppi dirigenti
rappresentati da pochissimi proprietari, e dagli amministratori dei beni del
feudatario2.
Tali situazioni creavano le premesse per gravi tensioni popolari, pronte
ad esplodere in qualsiasi momento, come si era verificato, a Matera, proprio
nel 1733, quando era giunta notizia delle vittorie di Carlo di Borbone.
Popolo e detenuti nelle carceri dell’Udienza si unirono in un moto popolare
diretto contro il Preside della Provincia, il marchese Sanfelice che, rifugiatosi nella Cattedrale sotto la protezione dell’arcivescovo Mariconda, riuscì
a scampare al linciaggio e, come recita un documento dell’epoca, «fugam
arripuit, ut relatum fuit, et Viennae de Austria perrexit, sub cuius potestatem mansit usque ad eius obitum»3.
Nel 1735, fu lo stesso sovrano, diretto a Palermo per esservi incoronato
ufficialmente rex utriusque Siciliae, a sostare in Basilicata4. Il 14 gennaio,
partito da Ascoli Satriano, Carlo e la corte, accompagnati dall’esercito guidato dal Montemar, fecero tappa a Venosa, dove
Ritrovò essergli uscita allo ‘ncontro in muta a 6, e con tutta pompa l’Udienza in
corpo della Città di Matera, Metropoli di quella provincia5, unitamente con una
buona quantità di Nobili, a presentargli i dovuto omaggio; e dopo aver questa inchinato con riverenti modi la M. S., montati sì il Preside che gli Uditori e Nobili su
buoni cavalli, andaron sempre così servendola all’intorno […] per fin’entro della lor
residenza di Matera.
La corte si fermò, poi, in una casa di campagna in possesso dei Minori
Osservanti, distante sei miglia da Matera, nella quale Carlo fece un trionfale ingresso alle 22, accompagnato dal vescovo Mariconda con il clero del
2 R. Giura Longo, Società, politica e cultura in Basilicata alla vigilia della rivoluzione, in A.
Massafra (a cura di), Patrioti ed insorgenti in provincia: il 1799 in Terra di Bari e Basilicata,
Bari, Edipuglia, 2002, pp. 445-446. 3 G. Gattini, Note storiche sulla Città di Matera, Napoli, Perrotti e C., 1882, pp. 145-146. 4 A. Cestaro, Introduzione, in Storia della Basilicata, a cura di G. De Rosa e A. Cestaro, 3.
L’Età moderna, a cura di A. Cestaro, Roma-Bari, Laterza, 2002, p. XX. 5 G. Senatore, Giornale storico di quanto avvenne ne’ due reami di Napoli e di Sicilia, nella
conquista che ne fecero le invitte armi di Spagna sotto la condotta del [...] re Carlo Borbone,
Napoli, nella Stamperia Blasiana, 1742, pp. 278-280.
«Hic (non) sunt leones. La Basilicata all’inizio del Regno di Carlo di Borbone
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Capitolo Cattedrale e i rappresentanti dell’Università, per fermarsi nel
palazzo vescovile6.
Dopo essersi fermato a Matera anche il giorno seguente, 18 gennaio, il
sovrano e la sua corte si diressero, poi, verso la costa ionica, con due tappe,
presso il Casale di S. Marco, nel territorio di Bernalda, ed infine nel castello
di Policoro, ove il re fu ospite dei principi Serra di Gerace. Tra il 18 e il 20
gennaio, il sovrano si fermò a Montescaglioso, festeggiando nel grande
monastero di San Michele Arcangelo anche il proprio compleanno. Il re e il
proprio seguito occuparono buona parte del monastero: al sovrano furono
attribuite le camere più sontuose, ovvero l’appartamento dell’Abate;
al Conte di Santo Stefano furono assegnate alcune camere volte a sud. Altri
ambienti e camere furono predisposti per le altre persone della corte, quali
Lelio Carafa, Capitano della Guardia del Corpo, il principe Corsini, il marchese Acciajoli, il marchese della Miranda e il marchese Malaspina. Le
camere predisposte per la corte risultarono essere 36 al piano superiore,
Al piano di sotto e nei chiostri furono sistemate le persone di servizio ed i
reparti militari.
Il giovedì 20 gennaio, Carlo volle celebrare il suo ventesimo compleanno.
Dalle proprie camere si recò in chiesa, accompagnato dai monaci e seguito
dai nobili e dai generali della corte. In chiesa, sedette sul trono dell’abate
assistendo alla messa cantata celebrata dal Priore. Dopo la messa, lo scoppio dei mortaretti e la fucileria della guardia personale, il Reverendo Priore
intonò il Te Deum di ringraziamento e impartì la benedizione. La giornata
trascorse tra caccia e banchetti. Successivamente il Priore presentò a Carlo
una supplica affinché volesse accogliere il monastero sotto la sua protezione. Il giorno dopo, al momento della partenza, il Sovrano manifestò tutto
il proprio gradimento per l’accoglienza ricevuta e, in merito alla supplica
del Priore, il Conte di Santisteban, udito il re, sul portone d’ingresso
dell‘Abbazia, al momento del commiato, poté solennemente dichiarare: «Il
padre Abate è già servito»7.
La rapida visita fatta in Basilicata nel gennaio del 1735 indusse Carlo a
disporre una inchiesta sulle condizioni di questa regione e Bernardo
Tanucci incaricò a tal proposito Rodrigo Maria Gaudioso, avvocato fiscale
dell’Udienza di Matera, di raccogliere dati e notizie per stilare una relazione
sulle condizioni economiche e sociali di questa provincia:
Illustrissimo signor mio padrone colentisimo
In questa settimana essendomi capitata una stimatissima carta di Vostra Illustrissima de 19 del cadente aprile con mi si è servito comandarmi per il serviggio
6 G. Gattini, Note storiche, cit., pp. 146-147. 7 La cavalcata del Borbone. Rievocazione in costume di Carlo di Borbone a Montescaglioso
nell’anno 1735, Montescaglioso 20 settembre 2003 [Montescaglioso, Amministrazione Comunale, 2003], pp. 15 ss.
Antonio D’Andria
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di S. M e per le occorrenze che allo stesso vengono le facessi un’esatta discrittione
di questa provincia avvisandole minutamente il sistema d’essa ne i propri termini
che si è servita comandarmelo; ond’io in altro che accuso il ricivo di tal riverentissimo ordine di V.S.V., passo a parteciparle che sarà da me subbito ubbedito e
eseguito colla celerità più possibile nella propria maniera che si e servita imprimelo, ed impritanto rinnovando a V. S V.I.I.I. sempre più rispettosa la mia cita
osservanza con devotissimo inchino verso immutabilmente8.
Itinerario di Carlo di Borbone in Basilicata. Nostra elaborazione.
8 Dg, f. non numerato.
«Hic (non) sunt leones. La Basilicata all’inizio del Regno di Carlo di Borbone
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Il Gaudioso, segretario fiscale della Regia udienza di Basilicata e Marchese di Camporeale, già il 30 aprile rispose che avrebbe provveduto con
celerità, inviando agli amministratori delle università di Basilicata una lettera per sollecitare gli amministratori inadempienti alla stesura delle singole relazioni entro sei giorni. Il Gaudioso inviò, quindi, una lettera a tutti
gli amministratori delle università chiedendo di stendere una relazione
sullo stato dei propri centri indicandone: posizione; abitanti; produzione;
giurisdizione; amministrazione; introiti e tasse.
Un successivo sollecito fu inviato dal Gaudioso a molte Università9, dato
che non tutte avevano consegnato le relazioni nei tempi stabiliti. Il Gaudioso, comunque, inviò a Napoli un imponente dossier diviso, in sostanza,
in tre parti:
- la prima (ff. 1r-38v) era la relazione propriamente detta, nella quale il
marchese di Camporeale aveva riassunto e rielaborato le relazioni inviategli dalle Università, organizzandole secondo le rubriche richieste agli
amministratori e ponendo particolare rilievo nella registrazione delle
entrate;
- la seconda parte (ff. 52r-416) raccoglieva le relazioni redatte dai cancellieri delle singole Università della provincia e dalle quali il Gaudioso
aveva, appunto, tratto il materiale per la sua descrizione. Ma, più che
la Relazione, grande interesse rivestono le informative che furono spedite al Gaudioso dagli amministratori delle singole Università, per la
gran mole di notizie in esse contenute e che il marchese di Camporeale
ritenne, forse, opportuno tacere o inglobare nel più generale contesto “a
volo d’uccello” della Provincia.
2. Tipologie urbane ed aspetti generali
Dalle relazioni delle Università basilicatesi emerge, in primo luogo, un
quadro alquanto variegato delle tipologie urbane. La provincia comprendeva, infatti, 117 centri abitati distribuiti in quattro “Ripartimenti”. Era, in
9 «Matera 30 aprile 1735. Signor. Regente d. Bernardo Tanucci. Segretario di giustizia
presso S. M. Miles. D. Rodrigo Maria Gaudioso ex marchionibus Campi Reali Regi Fisci […]
provinciae Basilicate […] Magnifici sindaci, eletti cancellieri, ed ogni altro a chi spetta dell’università di tutti luoghi di questa provincia di Basilicata vi significo che fra il ternime di
giorni io avessimo rimesso in nostro potere fede veridica del numero degl’abitanti dai vostri
rispettivi luoghi, vescovadi colle loro entrade e plebende, badie, conventi dè frati,
parrocchie,baroni con loro entrade, i nobili di ciaschè d’una città con loro entrada, prodotti
del terreno, marina, meccanica, entrade rege, tribunali con loro ministri, e salari di
ciascuno,usanze, leggi,stili particolari ed inclinazioni dei popoli. E perché finora non abbiate
curato ubbidire, abbiamo perciò fatto urgente, col quale vi dicemo ed avvertimo che precisamente […] tra il termine d’altri giorni 6 lo dobbiate remettere in risposta della fede di quel
tanto vi è nei singoli rispettivi luoghi. Matera, li’ 8 gennaio 1736. Rodrigo Maria Gaudioso»
Ibidem.
Antonio D’Andria
98
effetti, una provincia piuttosto vasta, che, fino a quell’epoca, era nota
sostanzialmente attraverso la descrizione datane, ad inizio del secolo, dal
Pacichelli:
Opportuno è il passaggio dall’Hirpinia nella Lucania, Terra questa, anzi fra l’uno,
e l’altro partimento delle due Provincie distesa, che a quella unita, ò congionta; la
maggior parte però più inchiusa, e con qualche portion della Puglia, e Grecia grande,
volgarmente detta Basilicata. Vogliono i seguaci di Leandro Alberti, e del Pontano,
che questo nome sia sorto da’ Veleni suoi naturali, ò dal Greco Imperadore, che ne
dotò la figliuola, ò da un tal Basilio, che col suo valore ne scacciò i Greci: e taluni
molto meglio stimano, per la sua Signoria rilevata, sendo che la sua voce Greca,
significa propriamente Regale, forsi perché al Regal Dominio da tempo lungo sia ella
appartenuta, à differenza delle due precedenti de’ Prencipi di Benevento, ò Salerno.
[…] La dividono gli Apennini dalla minor parte della Lucania, che resta nell’Ulterior
Principato, hà per limiti dal lato di Greco e Tramontana le Terre, di Bari, e di Otranto,
con la Provincia di Capitanata per la Riviera dell’Ofanto, dall’Oriente e Libeccio il
Mare Ionio, ò di Taranto, dall’Africo alquanto il Tirreno, e dal Mezogiorno, col fiume
Lao, la Calabria inferiore. In questa circonferenza dunque si ferma la particella de
gl’Hirpini avvanzata al superior Principato, un taglio della Puglia Daunia, e Peucetia
fra l’Ofanto, e il Bradano verso i rigagni loro, ed il lembo maritimo della Grecia
grande […]. Hoggi è Matera Sede Arcivescovale, e Risdenza insieme de’ Regali Ministri
per la Giustizia, e Finanze in Basilicata. I Vescovadi suffraganei sono, Lavello, Marsico vecchio, Melfi, Montepeloso, Muro, Rapolla, Tricarico, Tursi, e Venosa, Eccedono
il centinajo nella Provincia le Terre, e Castelli: e con tredeci Torri guarda i due Mari.
Ella viene inaffiata particolarmente da’ Fiumi, Braciano, Acalandro, ò Roseto, Siri, ò
Seno, e Taciri, e da altrettanti Laghi non nominati da gli Eruditi. È Paese assai montuoso, non però inameno per la giocondità de’ suoi fruttiferi campi10.
Descrizione, questa, grosso modo ripresa dal Gaudioso in apertura del
proprio rapporto:
La Provincia di Basilicata è una delle più spaziose del Regno. Da Settentrione
confina con quella parte della Capitanata che dagli Antichi fu chiamata Iapigia e
Messapia ed ora dalla Città di Otranto ha preso il nome di Terra di Otranto. Si
stende poi verso mezzo giorno in un lunghissimo tratto terminando nel Mar Tirreno
ed in quella parte della Calabria che chiamasi Brutii. Da Levante è bagnata dal mar
Ionio. Da Ponente termina con quel tratto di Puglia che dicesi Peucezia. Contiene
sotto di sé molte Città, Terre, Castelli e Villaggi. Il paese è quasi tutto montuoso,
contenendo spesso fiumi, e però si rende poco praticabile in tempo d’inverno; è
abbondante di vini, biade e di armenti. Vi sono delle buone cacce di caprii, cervi ed
altre fiere selvagge. Detta provincia viene divisa in quattro ripartimenti denominati
il primo di Tursi, il secondo di Maratea, il terzo di Tricarico e il quarto di Melfi11.
10 G. B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, Napoli, Parrino e Mutio, 1703, vol. I,
pp. 264-265, 266. 11 Dg, f. 1r.
«Hic (non) sunt leones. La Basilicata all’inizio del Regno di Carlo di Borbone
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I Ripartimenti, inoltre, avevano una divisione piuttosto omogenea.
Quello di Tursi comprendeva 31 centri abitati e si spingeva da Montescaglioso e da Ferrandina, sino ai confini della Calabria e da Terranova del
Pollino sino a Gallicchio12. Quello di Maratea comprendeva 30 centri abitati
e comprendeva le zone dalla costa tirrenica fino a Viggianello, a Miglionico
e a Corleto Perticara13. Quello di Tricarico, con 29 centri abitati, comprendeva Potenza e i paesi del basso Potentino, estendendosi sino a Pietrafesa
e da Sasso sino ai centri dell’alta valle dell’Agri, da Montemurro a Tramutola14. Il Ripartimento di Melfi, infine, comprendeva 28 centri abitati, a nord
di Potenza15.
Oltre a questi centri, risultavano quasi delle énclaves i feudi di San
Basile e Policoro16, situati nel Ripartimento di Tursi.
I 117 centri abitati17 distribuiti nei 4 Ripartimenti della Basilicata
erano, comunque, piccoli nuclei abitati con una popolazione inferiore ai
mille abitanti. Oltre a Matera (13382 abitanti), Potenza (8000), Lauria
(6000) soltanto tre centri superavano i 5000 abitanti: Melfi (5523)18; Avigliano (5500)19; Ferrandina (5000)20. Sette superavano i 4000 abitanti:
Laurenzana (4800)21; Pisticci e Tursi (4200)22; Muro, Rivello, Tricarico e
Viggiano (4000)23. Sei i 3000: Calvello e Venosa (3700)24; Moliterno
(3500)25; San Fele (3200)26; Montepeloso (3071)27; Rionero (3050)28.
Da quanto sinora riportato risulta di per sé evidente come la Basilicata
mostrasse una netta sproporzione tra la vastità del suo territorio e le tipologie insediative, cosa di cui lo stesso Carlo doveva essersi accorto, pur
attraversandone la parte meno montuosa e forse più omogeneamente abitata. Infatti, a fronte di un semplice 17% degli abitati costituito da città
statutariamente tali, ben il 92% degli insediamenti lucani rientrava nel12 Dg, ff. 4r-16r. 13 Dg, ff. 16v-24r. 14 Dg, ff. 24v-30v. 15 Dg, ff. 31r-38v. 16 Cfr. E. Novi Chavarria, I feudi ecclesiastici nel Regno di Napoli, in A. Musi-M. A. Noto (a
cura di), Feudalità laica e feudalità ecclesiastica nell’Italia meridionale, Palermo, Associazione
Mediterranea, 2012, p. 360. 17 Cfr. Appendice. 18 Dg, f. 33r. 19 Dg, f. 37v. 20 Dg, f.15r. 21 Dg, f. 292r. 22 Dg, ff. 6rv. 23 Dg, ff. 36v, 22, 24, 28. 24 Dg, ff. 28v-31v . 25 Dg, ff. 28v-31v. 26 Dg, f. 27r. 27 Dg, f. 35r. 28 Dg, f. 30v.
Antonio D’Andria
100
l’ambito delle Terre. Una provincia, dunque, del resto peculiare anche per
l’intreccio, sul versante istituzionale, di Università, Feudo e Chiesa che,
spesso in concorrenza tra loro, erano i tre fondamentali livelli che di fatto
esprimevano l’amministrazione del potere locale29, tramite conflitti, ma
anche forti intrecci. «Un connotato, questo, che, in alcuni centri, tra i quali
Matera, Venosa, Potenza assunse dimensioni e forme di esercizio concreto
ancora più particolari e alquanto significativi rispetto al contesto circostante»30.
Da quanto emerso già per le tipologie urbane, si evidenzia come le relazioni delle singole Università mettessero in luce una realtà piuttosto articolata già solo dal punto di vista della rete cittadina e degli insediamenti.
Un elemento notevole sul quale va posto l’accento è quello socio-economico. Dalle singole relazioni, infatti, è possibile rispondere a due domande:
in primo luogo, ricostruire quale fosse la percentuale di alfabetizzazione
degli amministratori locali; in secondo luogo, cercare di ricostruire la rete
produttiva ed, eventualmente, protoindustriale presente in Basilicata.
Dalle relazioni inviate dalle Università risulta evidente come l’analfabetismo nella Provincia fosse piuttosto diffuso, a prescindere dalle subaree
del territorio provinciale e dalle condizioni di vita. Infatti, i centri con maggioranza di amministratori analfabeti (che firmarono le relazioni con il
29 R. Giura Longo, La Basilicata dal XIII al XVIII secolo, in Storia del Mezzogiorno, diretta da
G. Galasso e R. Romeo, vol. VI, Le province del Mezzogiorno, Napoli, Edizioni del Sole, 1987,
p. 384. 30 A. D’Andria, Identità sommerse. L’antico nelle storie locali della Basilicata in età moderna,
in Bsb, XXV (2009), n. 25, pp. 98-99.
Distribuzione delle
tipologie urbane
in Basilicata nel 1736.
«Hic (non) sunt leones. La Basilicata all’inizio del Regno di Carlo di Borbone
101
segno di croce) risultano Montescaglioso, Pietragalla, Picerno, Pietrafesa,
Tramutola, Viggiano, Calvello, Pietrapertosa, Abriola, Ruoti. Gran parte di
tali centri era situato in zone montuose, difficilmente raggiungibili e, pertanto, poco “esposte” agli scambi commerciali e culturali non solo con le
province contermini, ma anche, nella maggior parte dei casi, con i centri
convicini. Non a caso, lo stesso marchese Gaudioso evidenziava tali, oggettivi, precondizionamenti in apertura del proprio dossier: «Il paese è quasi
tutto montuoso, contenendo spesso fiumi, e però si rende poco praticabile
in tempo d’inverno»31.
La maggior parte degli abitanti di tali centri, come, del resto, gran parte
della popolazione di Basilicata, aveva un’economia di tipo pastorale, stanti
notevolissime difficoltà dell’agricoltura dovute alla conformazione del territorio, del resto ampiamente evidenziate nelle relazioni delle Università.
Né risultava migliore la situazione manifatturiera, dato che, nelle relazioni, si evidenziano poche tracce di attività protoindustriali quali mulini,
filande, gualchiere. Esse, in realtà, avrebbero potuto essere implementate,
come avveniva in altre province, dalle famiglie feudali più importanti, tra
le quali spiccavano i nomi dei Pignatelli, dei Caracciolo, dei Doria, dei
Revertera e che controllavano ben il 60,35% della superficie della provincia32. Esse, tuttavia, solo nel caso di complessi feudali come quello dei
Doria a Melfi, dei Pignatelli in Val d’Agri e dei Sanseverino di Bisignano
nell’area sinnica, mostravano indirizzi imprenditoriali, in grado di strutturare un sistema di sfruttamento intensivo delle risorse naturali locali. In
realtà, comunque, tali “baroni imprenditori” spesso intervenivano in
maniera casuale ed episodica nell’implementazione delle risorse produttive.
Il più era lasciato all’iniziativa privata e familiare, come nel caso di Tricarico, dove, si evidenziava:
La maggior parte di quelli possedono la vigna che coltivano per uso proprio e la
casa dove habbitano. Né vi sono persone civili, ma di qualche comodità fra nobili e
quella di Giovanni Domenico Putignani, quale possiede uno molino feudale ad
acqua nel fiume Basento e per le molte spese vi cor//f. 254r//rono gl’innondazioni
di detto fiume ed interesse per la scarzezza dell’acqua nell’està che può rendere
circa tomola cinquanta di grano l’anno e ne paga docati sei e grana 25 al detto
Eccellentissimo Signor Duca della Salandra33.
Nel resto dei territori sottoposti a giurisdizione feudale, l’economia
restava di pura sussistenza.
31 Dg, f. 1r. 32 S. Lardino, Strutture economiche e distribuzione del reddito in Basilicata attraverso le
fonti fiscali, in A. Cestaro-A. Lerra (a cura di), Il Mezzogiorno e la Basilicata fra l’età giacobina
e il Decennio francese, Venosa, Osanna, 1992, vol. I, pp. 332-333. 33 Dg, ff. 253v-254r.
Antonio D’Andria
102
Ad eccezione, dunque, di qualche “galantuomo” e di pochi “civili”, la
popolazione era costituita prevalentemente da “bracciali”, ovvero proletari
agricoli. L’economia si basava essenzialmente sull’agricoltura e sulla pastorizia, che non erano certo delle più fiorenti, dal momento che erano condotte con metodi molto arretrati. Il livello di produttività delle terre era
decisamente basso, soprattutto nelle aree interne, dove vaste estensioni di
terreno erano incolte. Modestissima, se non addirittura insignificante, era
l’attività manifatturiera, quasi esclusivamente di natura domestica, come
evidente nel già citato caso di Tricarico.
Nello specifico, è possibile trarre alcuni elementi comuni riguardanti l’economia dei singoli Ripartimenti. Nella relazione finale, il Gaudioso, infatti, non
mancava di sottolineare, in sede introduttiva ai Ripartimenti e, per quanto
concerne le singole realtà, gli elementi caratterizzanti a livello economico.
L’economia del Ripartimento di Tursi era connotata, ad esempio dalla
«coltivazione del terreno, che produce, grano, orzo, avena, fave, e vino, vettovaglie di ogni genere, bambace, lino, legnami» e dall’allevamento di animali domestici34. Ugualmente a prevalente connotazione agricola risultava
essere l’economia del ripartimento marateota35. Alquanto diversa la situazione nei versanti occidentale e settentrionale della provincia, più collegati
con il resto del Regno e caratterizzati da un’economia più legata ai modus
pugliesi. Nel Ripartimento di Tricarico, ad esempio, si sottolineava come i
processi economici fossero legati alle «industrie» della popolazione, ossia
alle manifatture36, mentre un’economia mista tra agricoltura ed allevamento caratterizzava i centri del Ripartimento di Melfi37.
La situazione economica della Basilicata, dunque, quale emerge dalle
relazioni inviate al Gaudioso, risultava certamente non florida, ma va analizzata in modo cauto, comparando tale fonte con altre coeve. È, infatti,
chiaro come le singole Università tendessero a “gonfiare” elementi di criticità per evidenziare il cronico deficit dei propri bilanci e, quindi, evitare
aumenti fiscali che sarebbero risultati impossibili da pagare, andando a
sommarsi con i gravami feudali.
Una notevole rilevanza, all’interno della relazione, assumono, infatti, i
dati relativi agli introiti, feudali ed ecclesiastici.
Nel 1736, la Basilicata contava 73 feudatari, per una rendita totale di
184.600 ducati, mentre i beni ecclesiastici (13 monasteri, 106 conventi, 53
badie, molte cappelle che in gran parte beneficiavano di giuspatronato
laico) facevano registrare una rendita di 127.512 ducati38.
34 Dg, ff. 4r-16v. 35 Dg, ff. 16r-23r. 36 Dg, ff. 23r-30v. 37 Dg, ff. 30v-54r. 38 G. Stigliano, Feudi, feudatari ed istituzioni ecclesiastiche con loro rendite nella «Relazione
Gaudioso» sulla Basilicata (1736), in Bbpm, VIII (1987), n. 13, p. 56.
«Hic (non) sunt leones. La Basilicata all’inizio del Regno di Carlo di Borbone
103
Emerge chiaramente una concentrazione dei grandi feudi, con conseguente aumento delle rendite, nei due Ripartimenti più settentrionali, ossia
quelli di Tricarico e Melfi, storicamente più proiettati verso strategiche aree
di confine quali le province pugliesi e il Principato Ultra. In particolare, i
maggiori feudatari risultano essere i duchi Revertera della Salandra39, con
una giurisdizione su tre grandi feudi nella zona della Val Basento, due dei
quali gravitanti intorno all’ex contea di Tricarico. I principi Sanseverino di
Bisignano, con il ricco feudo di Grottole40, superavano, per rendita, anche
i principi Doria, tradizionalmente figure di “principi imprenditori” nel
grande Stato di Melfi41.
Diversa, ben più atomizzata, era la situazione delle rendite ecclesiastiche.
Nel caso delle rendite ecclesiastiche, la distribuzione appare seguire i
trend di rendita già riscontrati per quanto riguarda le rendite feudali.
Infatti, la maggior parte delle rendite relative a luoghi soggetti ad enti e istituzioni ecclesiastiche proveniva dai Ripartimenti di Tricarico e Melfi, che
percepivano una rendita, rispettivamente, di 16.200 e 21.000 ducati. In
totale, dunque, molto più dei già ricchi feudi laici di Grottole e Melfi, con
una notevole concentrazione delle rendite nella città di Potenza. Un’eccezione era rappresentata dai luoghi sacri del Ripartimento di Tursi, che
traeva il 40% dei suoi sostanziosi 25.000 ducati di rendita dalla Certosa di
San Nicola in Valle a Chiaromonte42.
Si trattava di una situazione che già nel primo trentennio del XVIII
secolo aveva prodotto una serie di controversie, sia contro i locali feudatari
che contro gli enti e le istituzioni ecclesiastiche, discusse a Napoli con esiti
spesso incerti, che avevano scatenato una violenta tensione sociale, che
sarebbe durata fino agli anni Novanta. Così, se nel 1713 l’avvocato Pietro
Poerio difendeva i duchi della Salandra nei loro diritti feudali su Tricarico,
il già citato Lamonica aveva prodotto - tra il 1729 ed il 1738 - varie allegazioni contro i gravamina imposti dai governatori dei Doria all’Università di
Melfi, l’avvocato Ferdinando Porcinari difendeva i «creditori del patrimonio»
dell’Università di Cancellara e, a Matera, Michelangelo del Pozzo si occupava di difendere i diritti dell’Università contro alcune famiglie del locale
patriziato. Nel campo delle rendite religiose, l’avvocato De Laurentiis espo39 D. Ragone, Una perla della Basilicata. Salandra: la sua storia, il suo paesaggio, la sua
economia, Roma, Tip. La Roccia, 1983, p. 37. 40 G. Azzarà, I Sanseverino Conti di Potenza e di Saponara, in «Studi Meridionali. Rivista
trimestrale di studi sull’Italia Centromeridionale», VIII (1975), fasc. 3-4, pp. 341 ss. 41 Cfr. S. Zotta, Rapporti di produzione e cicli produttivi in regime di autoconsumo e di produzione speculativa. Le vicende agrarie dello “Stato” di Melfi nel lungo periodo (1530-1730), in
A. Massafra (a cura di), Problemi di storia nelle campagne meridionali nell’Età moderna e contemporanea, Bari, Dedalo, 1981, pp. 221-290. 42 Sulla quale cfr. A. Giganti, Le pergamene del monastero di San Nicola in Valle di Chiaromonte (1359-1439), Potenza, Deputazione di Storia Patria per la Lucania, 1978, pp. XVI ss.
Antonio D’Andria
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neva, nel 1730, le ragioni dell’amministrazione di Teana contro la curia
vescovile di Anglona-Tursi e, in campo avverso, il già citato Porcinari difendeva il clero ricettizio di San Fele contro il locale sindaco Antonio Catenacci43.
Una situazione, dunque, piuttosto anomala, che era sfuggita, fino ad
allora, al potere dei viceré spagnoli e austriaci, nonostante i tentativi della
Giunta del Buongoverno.
La semplice rilevazione topografica e urbana, certamente informativa
per il sovrano, fungeva da “mappatura” di un territorio che egli aveva già
visto, anche se solo in parte. Si può, tuttavia, pensare che il sovrano ed i
suoi ministri avessero, però, commissionato la “Relazione” con un intento
soprattutto diretto a rilevare se la provincia più interna e vasta del Regno
avesse anche rendite paragonabili a tali estensioni, come emergeva dalle
cause discusse nella Sommaria in quel periodo. La conoscenza delle notevoli rendite feudali ed ecclesiastiche «valse forse a contribuire alla formazione dei catasti onciari»44 secondo un modello già sperimentato dalle
direttive del Tanucci al Gaudioso. In effetti, la “relazione” presentava notevoli consonanze, a livello espositivo, con quanto si sarebbe operato nelle
relazioni preliminari dei catasti:
il medesimo carattere della inchiesta del Gaudioso presentano le ricerche dei funzionari delegati, nella seconda metà del sec. XVIII, alle operazioni per la formazione
dei catasti. Come già precedentemente gli incaricati per la compilazione delle descrizioni dei beni feudali e delle diverse platee ed inventari dei vari enti religiosi, anche
costoro spesso eseguono ricerche archivistiche e bibliografiche per redigere le loro
relazioni sui diversi centri abitati o enti religiosi, generalmente precedute da sintetici sommari che ne illustrano le origini e le vicende con richiami di citazioni e di
documenti45.
Dall’analisi delle condizioni socio-economiche e politico-istituzionali del
Mezzogiorno e, più in particolare, della Basilicata, emerge chiaramente
quello che già Franco Venturi aveva lucidamente evidenziato nel suo fondamentale studio sui riformatori napoletani:
La ritrovata indipendenza - sia pur relativa ed alquanto formale - influirà non
poco sulle coscienze […]. I sogni, le ambizioni d’una politica autonoma, fondata
sull’esempio francese e spagnolo, d’una volontà d’autosufficienza economica, di
affermazione sul mare e di sviluppo commerciale si radicheranno profondamente
sulla mentalità degli uomini che stavano svegliandosi, alla metà del secolo, all’osservazione ella realtà sociale che li attorniava46.
43 T. Pedio, Storia della storiografia lucana, Venosa, Osanna, 1984, pp. 82-84. 44 G. Stigliano, Feudi, feudatari ed istituzioni ecclesiastiche, cit., p. 56. 45 T. Pedio, Storia della storiografia lucana, cit., p. 63. 46 F. Venturi, Introduzione, in A. Genovesi, Scritti, Torino, Einaudi, 1977, p. 289.
«Hic (non) sunt leones. La Basilicata all’inizio del Regno di Carlo di Borbone
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Un carattere che, tuttavia, ridimensiona in senso restrittivo la portata
dei provvedimenti innovatori di Carlo fu la frammentarietà, ovvero, la mancanza di un indirizzo unitario poiché le riforme avvenivano in modo discontinuo ed erano prive di coordinazione ed interpretazione47; talvolta, poi,
furono prive di basi o sovrapposte a vecchi istituti, uffici che difficilmente
le contenevano.
Malgrado fosse animato da buona volontà, l’entourage carolino non
aveva un disegno organico d’intervento, e quindi, era ostacolato dall’asse di
un programma unitario e coeso. Si declina, quindi, una discrepanza tra teoria e pratica, ovvero, tra riforme che, quindi, risultarono inadeguate al contesto al quanto arretrato e lontano dal rinnovamento. Confrontato nei suoi
risultati con quello asburgico di Milano o di Firenze, il riformismo carolino
appare meno organico e perciò scarsamente incisivo nei tentativi di abbattere le preesistenti strutture corporative. La consapevolezza di aver vissuto
un «tempo eroico», come lo definì Bernardo Tanucci, fu più profonda e
amara di fronte alla crisi, quando, agli inizi degli anni Quaranta, apparve
chiaro che le migliori occasioni offerte da quell’irripetibile “momento magico”
erano ormai da considerarsi perdute:
I privilegi del clero e della nobiltà, l’ignoranza profonda delle classi contadine,
la mancanza d’ogni scuola elementare, la tragica inefficienza delle amministrazioni
locali, il regime al quale era sottoposta tutta la produzione, dal grano alla lana,
dalla seta all’olio, le differenze profonde esistenti fra provincia e provincia, la mancanza di strade, di comunicazioni […], tutto rendeva difficile il compito del riformatore. Ben se ne accorse lo stesso Carlo di Borbone quando cercò di stabilire un
catasto degno di questo nome48.
Eppure lo sforzo imponente compiuto in quel primo periodo sulla via
delle riforme, anche se fortemente ostacolato e frammentato, non si
disperse del tutto, se si considerano le innovazioni introdotte nel campo
della giustizia, dell’economia e della cultura.
Inoltre, come emerge dalla “relazione Gaudioso”, la crescita della popolazione e il senso generale di espansione che emergeva nella stessa Basilicata spingeva alla rivendicazione, contro lo strapotere economico della
“casta”, dei terreni comuni e all’estensione delle terre coltivabili, in mano
a ristretti gruppi di feudatari e alle onnipresenti ricettizie. Le stesse tipologie urbane in ridefinizione, specie nelle aree della Basilicata più in comunicazione con le province contermini e gli snodi commerciali, indicano che
la Basilicata che emerge nella nuda relazione dell’avvocato fiscale Gaudioso
47 E. Chiosi, Il Regno dal 1734 al 1799, in Storia del Mezzogiorno, diretta da G. Galasso e
R. Romeo, vol. IV/2, Il Regno dagli Angioini ai Borboni, Napoli, Edizioni del Sole, 1986, pp.
384-385. 48 F. Venturi, Introduzione, cit., p. 291.
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era un territorio variegato, ricco di potenzialità, un mare magnum e decisamente “incognito” che il sovrano aveva appena toccato e che, probabilmente, era curioso di conoscere a livello fiscale per avere un’idea di come
procedere nel “resettaggio” e riavvio della complessa macchina tributaria.
Il voluminoso dossier inviato dal marchese di Camporeale a Napoli, con
il titolo Descrizione della Provincia Di Basilicata fatta Per ordine di Sua Maestà, che Dio Guardi, da Don Rodrigo Maria Gaudioso Avvocato Fiscale Proprietario della Regia Udienza di detta Provincia, è, dunque, una
testimonianza notevole non solo del modus operandi di un funzionario provinciale, come da più decenni era noto attraverso la pubblicazione della
relazione propriamente detta ma, soprattutto, apre uno spiraglio notevolissimo sulla situazione delle Università della Basilicata, i cui ceti dirigenti
furono responsabili della compilazione dei resoconti da inviare al Gaudioso
e che contengono una mole maggiore rispetto a quanto abbreviato e, in più
parti, omesso dall’avvocato fiscale materano.
Una fonte, dunque, di notevole rilevanza per ulteriori, sicuramente fruttuosi, studi su un periodo ancora scarsamente presente all’attenzione delle
analisi sulla Basilicata moderna in rapida corsa verso la completa ridefinizione dei suoi gruppi dirigenti. Certamente si trattava di province meno
immobili di quanto apparisse dall’esterno. Bisognava, dunque, iniziare a
conoscere per riformare, perché «lasciar le cose come stavano non era davvero più possibile»49.
49 Ibidem.
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Appendice
Tipologie urbane e popolazione dei centri lucani
dalla Descrizione del Gaudioso50
CENTRO TIPOLOGIA ABITANTI CENTRO TIPOLOGIA ABITANTI
Abriola Terra 2.050 Moliterno Terra 3.500
Accettura Terra 1.400 Monte Albano Città 3.000
Acerenza Città 2.500 Montemilone Terra 700
Albano Terra 2.000 Montemurro Terra 3.500
Alianello Terra 100 Montepeloso Città 3.071
Aliano Terra 560 Montescaglioso Città 3.400
Anzi Terra 2.000 Muro Città 4.000
Armento Terra 1.400 Noja Terra 450
Atella Terra 820 Oliveto Terra 200
Avigliano Terra 5.500 Oppido Terra 2.600
Banzi Terra - Palazzo Terra -
Baragiano Terra 830 Papasidero Terra 800
Barile Terra 2.700 Pescopagano Terra 2.600
Bella Terra 3.000 Picerno Terra 2.700
Bernalda Terra 2.000 Pietrafesa Terra 1.900
Brindisi Terra 1.600 Pietragalla Terra 2.200
Calciano Terra 250 Pietrapertosa Terra 1.300
Calvello Terra 3.700 Pisticci Terra 4.200
Calvera Terra 1.400 Policoro Casale -
Campomaggiore Terra - Pomarico Terra 2.500
Cancellara Terra 1.160 Potenza Città 8.000
Carbone Terra 2.000 Rapolla Terra 1.300
Casalnuovo Terra 550 Rapone Terra 1.100
Castelgrandine Terra 1.500 Rionero Terra 3.050
Castelluccio Inferiore Terra 1.600 Ripacandida Terra 1.500
Castelluccio Superiore Terra 900 Rivello Città 4.000
Castelmezzano Terra Rocca Imperiale Terra 2.000
Castelsaraceno Terra 1.500 Roccanova Terra 500
Castronuovo Terra 1.000 Rotonda Terra -
Cersosimo Casale 155 Rotondella Terra 1.500
Chiaromonte Terra 1.500 Ruoti Terra 1.080
Cirigliano Terra 500 Ruvo Terra 1.200
Colobraro Terra 1.000 Salandra Terra 1.400
Corleto Terra 1.800 San Chirico Nuovo Casale 705
Craco Terra 1.700 San Chirico Raparo Terra 300
Episcopia Terra 1.000 San Costantino Casale 475
Fardella Terra - San Giorgio Terra 50
Favale Terra 600 San Martino Terra 1.500
Ferrandina Città 5.000 San Mauro Terra 2.200
Forenza Terra 2.700 Sanseverino Casale 700
50 Dg, ff. 57-265.
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Francavilla Terra 1.200 Sant’Arcangelo Terra 3.000
Gallicchio Terra 850 Santo Fele Terra 3.200
Garaguso Terra 190 Sarconi Terra 1.300
Genzano Città 2.060 Sasso Terra 1.500
Ginestra
(già Lombardamassa) Terra - Senise Terra 1.700
Gorgoglione Terra 300 Spinazzola Città 2.800
Grassano Terra 1.750 Spinoso Terra 1.500
Grottole Terra 1.800 Stigliano Città 2.500
Guardia Perticara Terra 1.000 Teana Terra 900
Lagonegro Città 2.465 Terranova Terra 300
Latronico Terra 2.200 Tito Terra 2.200
Laurenzana Terra 4.830 Tolve Terra 2.550
Lauria Terra 6.000 Tramutola Terra 3.000
Lavello Città 1.400 Trecchina Terra 1.800
Maratea Città 3.500 Tricarico Città -
Marsico Terra 1.000 Trivigno Terra 1.500
Marsicovetere Terra - Tursi Città 4.200
Maschito Terra 1.300 Vaglio Terra 2.300
Matera Città 14.000 Venosa Città 3.700
Melfi Città 5.525 Viggianello Terra 1.400
Miglionico Terra 2.460 Viggiano Terra 4.000
Missanello Terra 250 Vignola Terra 3.000