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giovedì 28 maggio 2015

Il Consiglio di Stato accoglie una sentenza favorevole alle famiglie che hanno presentato ricorso contro la disparità tra iscritti alle scuole statali e iscritti alle private


N. 02517/2015REG.PROV.COLL. N. 05866/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 5866 del 2014, proposto da: Maurizio Antonio Sironi, Emiliano Zambarbieri, rappresentati e difesi dagli avv. Vittorio Angiolini, Sergio Vacirca, con domicilio eletto presso Sergio Vacirca in Roma, Via Flaminia 195; contro Regione Lombardia, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Lucia Tamburino, con domicilio eletto presso Emanuela Quici in Roma, Via Nicolò Porpora, 16; per la riforma della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE III n. 00859/2014, resa tra le parti, concernente accertamento del diritto ad ottenere erogazione del buono scuola Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Lombardia; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 aprile 2015 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Angiolini, e Quici per delega di Tamburino.; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, i signori Sironi Maurizio Antonio e Zambarbieri Emiliano, in rappresentanza delle figlie, alunne iscritte rispettivamente al primo anno della scuola secondaria di primo grado Istituto “Dalla Chiesa” con sede a Milano e al secondo anno della scuola secondaria Liceo Scientifico Statale “Primo Levi”, con sede a San Donato Milanese, impugnavano le delibere adottate dalla Regione Lombardia in ordine al buono scuola. Esponevano di essere ancora soggette all’obbligo scolastico ai sensi dell’art. 1 comma 662 della legge n.296 del 2006 e di avere tentato, senza esito, di presentare la richiesta di attribuzione del buono scuola regionale per l’anno 2013/2014 sino alla data del 2 maggio 2013, termine ultimo per la presentazione della domanda, mediante l’accesso al sito telematico predisposto dalla Regione. La redazione della domanda implicava la indicazione della scuola frequentata, ma nell’apposito spazio a ciò dedicato nel sito, non erano menzionate le scuole pubbliche frequentate dalle due studentesse, né era possibile aggiungerle a quelle indicate come selezionabili; conseguentemente, le due studentesse non erano riuscite a presentare domanda entro il termine perentorio stabilito dai provvedimenti regionali disciplinanti l’accesso al buono scuola e, in particolare, gli atti impugnati e cioè il decreto n.1959 del 6 marzo 2013, recante approvazione per l’assegnazione della dote scuola per l’anno scolastico 2013/2014, nonché deliberazione n.IX/4688 del 16 gennaio 2013, con cui la Giunta Regionale aveva approvato la programmazione del sistema dote per i servizi di istruzione e formazione professionale per l’anno scolastico e formativo appena citato. Il giudice di primo grado, dopo aver respinto l’eccezione di inammissibilità, ritenendo che la lesione fosse divenuta effettiva soltanto nel momento in cui era stato precluso l’accesso al sistema per la presentazione della domanda, con valore di non ammissione, decorrendo il termine dalla scadenza del termine di presentazione della domanda, nel merito riteneva di accogliere soltanto in parte i motivi di ricorso, respingendoli per il resto. In particolare, dopo avere ricostruito il quadro normativo, costituzionale, primario della legge nazionale e della legislazione regionale, riteneva la legittimità del sistema che consente l’accesso al buono scuola solo agli studenti delle scuole statali e paritarie che applicano una retta di iscrizione o di frequenza, come previsto dalle delibere regionali impugnate, e coerente con la previsione dell’art. 8 L.R.19 del 2007, in quanto garantisce realmente la reale possibilità di optare per il servizio offerto dalle scuole paritarie, a favore di tutti gli studenti, anche meno abbienti, che possono concretamente scegliere se seguire un percorso formativo presso una scola statale oppure pubblica; non si rinvenivano ragioni di disparità di trattamento o di finanziamento di favore per gli istituti paritari, dipendendo il buono scuola anche dalla condizione economica del richiedente e non valendo a ritenere la illegittimità il riferimento all’ISEE o piuttosto a diversi parametri di reddito (considerandosi anche la composizione, la condizione del nucleo familiare, la presenza di persone con fragilità). Veniva accolta soltanto la censura - in relazione al fatto che gli studenti delle scuole paritarie che richiedono una retta di iscrizione o di frequenza possono beneficiare, oltre che del buono scuola, anche della “integrazione al reddito”, configurata come componente aggiuntiva al buono - nella misura in cui tale integrazione è di per sé ingiustificatamente superiore all’importo conseguibile, a titolo di sostegno al reddito per gli studenti (non abbienti) delle scuole la cui frequenza non comporta il pagamento di una retta, non giustificandosi tale differenza di entità, essendo destinati tali benefici entrambi all’acquisizione degli strumenti necessari (libri, strumenti scolastici, etc.). Avverso tale sentenza, ritenuta errata ed ingiusta, propongono appello i ricorrenti di primo grado, che, con atto non sintetico, deducono, in sintesi, che il sistema realizzato dalla Regione ha riservato in sostanza il c.d. Buono scuola ai soli allievi delle scuole paritarie private, ponendo una ingiustificabile discriminazione; espongono il quadro normativo, costituzionale, di legislazione primaria nazionale (legge 62 del 2000) e regionale (art. 8 l.r.19 del 2007) della Regione Lombardia, nonché delineato da varie sentenze della Corte Costituzionale, che non consentirebbe di discriminare in relazione alla scuola frequentata; il sistema della “Dote Scuola” definito dalla deliberazione n.XI del 16 gennaio 2013 della Giunta Regionale è discriminatorio perché la provvidenza “Buono scuola” è destinata solo ed esclusivamente agli studenti delle scuole paritarie private (o che comunque applicano una retta) mentre è preclusa agli studenti degli istituti statali o che comunque non richiedono una retta. Fa presente che i provvedimenti contengono altre discriminazioni, nella parte in cui la componente “Integrazione al reddito”, che si aggiunge al “Buono scuola”, è ben superiore al “Sostegno al reddito”; il decreto dirigenziale attuativo della delibera regionale, avente ad oggetto le modalità operative, ha informatizzato la procedura; in tale sito sono state elencate solo le scuole non statali; l’avviso chiarisce che il “Buono scuola è la componente di dote che agevola la scelta di frequentare una scuola paritaria”; viene esposto il contenuto del ricorso di primo grado e la sentenza appellata; con un primo motivo di appello (da pagina 19 in poi) si deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha ravvisato violazione e falsa applicazione dell’art. 8 l.r.19 del 2007, della legge n.62 del 2000, degli artt. 2,3,33 e 34 Cost., in quanto la legge regionale non distingue in relazione alla scuola frequentata; la rimozione degli ostacoli di ordine economico tra gli studenti e le loro famiglie è il criterio cui la disciplina delle provvidenze deve ispirarsi, mentre è errato il criterio dell’impegno economico derivante dalla scelta di una scuola che prevede il pagamento di una retta; la legge n.62 del 2000 enuncia il fine del diritto allo studio e all’istruzione di tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie; le sentenze della Corte hanno affermato la discriminatorietà di leggi che sceglievano di limitare un contributo ai soli alunni frequentanti scuole di una data natura (da ultimo sentenza n. 2 del 2013); erronea sarebbe la sentenza anche nella parte in cui ha ritenuto che l’adozione di criteri di calcolo del reddito diversi e più favorevoli per il “Buono scuola”, destinato agli studenti di istituti che richiedono il pagamento di una retta (mediante indicatore reddituale approvato con Delibera di G.R. n.2980 del 2012) rispetto a quelli usati per il “Sostegno al reddito” dedicato agli allievi delle scuole statali (ISEE), non sarebbe discriminatorio. Con un secondo motivo di appello si deduce che la sentenza sarebbe errata anche nella parte in cui non ha ravvisato eccesso di potere per disparità di trattamento; con un terzo motivo di appello si deduce (di nuovo) l’erroneità della sentenza laddove non ha ravvisato la violazione dell’art. 8 della l.r.19 del 2007, non avendo stabilito la sentenza che l’art. 8 ritenga vietati, come invece dovrebbero essere, buoni o contributi solo agli alunni delle scuole private, le quali soltanto richiedono una retta di iscrizione o frequenza, con conseguente violazione dell’art. 33 della Costituzione, che prevede il divieto di finanziamento diretto alle scuole private; in sostanza, il “Buono scuola” si tradurrebbe in una forma di surrettizio finanziamento alle scuole private. Infine, si ritiene in via subordinata di porre la questione di costituzionalità dell’art. 8 della legge regionale n. 19 del 2007 della Regione Lombardia. Si è costituita la Regione Lombardia, con memoria nella quale chiede il rigetto dell’appello. La Regione Lombardia ha proposto appello incidentale, nel quale ha controdedotto rispetto ai motivi di appello; con un primo motivo di appello incidentale deduce l’inammissibilità del ricorso originario, per notifica tardiva; il decreto dirigenziale impugnato è stato pubblicato a far data dall’11 marzo 2013, termine iniziale per la presentazione delle domande; in data 2 maggio 2014 scadeva il termine per presentare le domande, ma i ricorrenti originari avevano avuto conoscenza già dai tentativi andati a vuoto di iscriversi al sistema informatico, come essi stessi avevano riconosciuto; con tale motivo la Regione aggiunge che la iscrizione doveva avvenire al massimo entro il 28 febbraio 2013 (il ricorso è stato notificato in data 1 luglio 2013), perché a quella data gli studenti avevano già dovuto effettuare la scelta della scuola da frequentare l’anno successivo. Con un secondo e un terzo motivo di appello la Regione deduce la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e la carenza di interesse alla pronuncia per mancanza dei requisiti reddituali da parte degli originari ricorrenti: il primo giudice ha accolto parzialmente il ricorso per quanto riguarda la erogazione di buoni per la componente della Dote Scuola “Sostegno al reddito” con valore inferiore ai buoni di cui alla componente “Integrazione al reddito”, mentre i ricorrenti hanno sempre e soltanto agito avendo interesse al “Buono scuola”; i ricorrenti non hanno mai presentato domanda di “Sostegno al reddito” né hanno mai dichiarato di avere i requisiti reddituali per poter accedere a tale misura. Con un quarto motivo di appello incidentale, la Regione Lombardia deduce l’erroneità, per violazione dei principi di proporzionalità, della parte della sentenza che ha ritenuto “integrazione” del buono scuola in misura superiore a quanto previsto per il sostegno al reddito; si tratta di misure aventi funzioni analoghe, ma non identiche, così come diverse sono le funzioni del sostegno al reddito e della integrazione al reddito. Con atto depositato in data 27 novembre 2014 la Regione Lombardia presentava istanza autonoma di sospensione della esecutività della sentenza, in relazione al capo a sé sfavorevole, impugnato con appello incidentale. Con atto depositato in data 20 gennaio 2015 la Regione Lombardia dichiarava di non avere più interesse ad ottenere la misura cautelare chiesta con istanza autonoma sul capo di sentenza sfavorevole, pertanto la Sezione, con ordinanza n. 422 depositata in data 28 gennaio 2015, dichiarava l’improcedibilità della domanda cautelare. Con le finali memorie difensive e con le memorie di replica le parti hanno ribadito le loro difese e conclusioni. Alla udienza pubblica del 28 aprile 2015 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO 1.In primo luogo, va esaminato, con priorità logica – in quanto un eventuale accoglimento priverebbe d’interesse sia l’appello principale che il resto dell’appello incidentale - il motivo di appello incidentale, con il quale si insiste nel sostenere la irricevibilità e inammissibilità del ricorso originario, perché tardivo rispetto alla pubblicazione della delibera regionale gravata. Il primo giudice ne ha ritenuto la tempestività, in quanto proposto entro il termine di decadenza, decorrente dalla scadenza del termine di presentazione delle domande. Come ha osservato la sentenza, in realtà, può ritenersi che l’effetto lesivo si sia realizzato in pratica nel momento in cui il sistema informatico non ha consentito ai ricorrenti la proposizione in relazione alle scuole dagli stessi frequentate. Prima di tale momento, in fatti, la lesione (già attuale, per esempio, per le scuole non comprese) per gli studenti era collegata alla scelta della scuola da frequentare nell’anno scolastico 2013-2014, scelta ancora da maturare ed esprimere al momento di presentazione della domanda di accesso al “buono scuola” e quindi non ancora effettuata al momento della pubblicazione della delibera riguardante i possibili benefici. Soltanto nel momento in cui gli studenti hanno verificato la impossibilità di accesso al buono scuola, in relazione alla frequenza della scuola scelta, si è attualizzato l’interesse a contestare gli atti impugnati, in disparte la incertezza e ambiguità della esclusione dai benefici e la confusione, o almeno la sovrapposizione, ingenerata anche nel corso del presente giudizio, tra le diverse categorie di benefici, la loro natura e la categoria delle scuole e degli studenti beneficiari. In una parola, soltanto al momento del diniego informatico di accesso, gli studenti hanno avuto piena certezza della preclusione ad accedervi, in relazione alla scuola indicata. Avendo soltanto successivamente presentato la domanda per il “Buono scuola”, una eventuale impugnazione da parte dei ricorrenti originari, proposta al momento di pubblicazione della delibera regionale, sarebbe stata facilmente censurata della eccezione di inammissibilità per mancanza di interesse attuale, secondo i principi generali in materia (Ad. Plen. n.1 del 27 gennaio 2003 sulla impugnativa dei bandi con clausole preclusive e delle esclusioni). La domanda poteva essere presentata con modalità informatiche fino al 2 maggio 2013 e la possibilità di chiedere il beneficio era subordinata alle modalità con le quali il sito era configurato; pertanto, non rileva la scuola alla quale gli studenti erano iscritti al momento della pubblicazione della delibera, ma quella in cui effettivamente potevano scegliere di iscriversi (quindi anche diversa) al momento della presentazione della domanda, entro i termini di scadenza. Né vale fare riferimento a date precedenti per la scelta della scuola, in quanto ciò che è lesivo non è la scelta della scuola esclusa, ma la non ammissione al beneficio. 2.Vanno esaminati e trattati congiuntamente i motivi posti dall’appello incidentale con i quali la Regione Lombardia, in ordine al capo di sentenza di annullamento della delibera in parte qua. La delibera è stata annullata dal Tar nella parte in cui prevede <>. I ricorrenti originari non avrebbero chiesto il beneficio del sostegno al reddito o un aumento di quest’ultima componente, ma avrebbero chiesto soltanto il “Buono Scuola”; l’impugnativa sarebbe stata diretta soltanto all’annullamento della delibera nella parte in cui non prevede il beneficio del “buono scuola” anche per coloro che frequentano la scuola statale e non pagano rette di frequenza. I motivi sono infondati. Infatti, il ricorso originario (come d’altronde l’appello) contesta tutto il complesso della delibera, censurandone in particolare le misure ponendo ogni beneficio in relazione all’altro (anche quale tertium comparationis), per presupposti soggettivi ed oggettivi e come parametri. Proprio seguendo la impostazione del ricorso originario, esso censura la delibera che disciplina il complesso di benefici, definito come “Dote scuola”, in applicazione dell’art. 8 della l.r.19 del 2007, secondo la delibera di Giunta IX/4688, inteso come “elemento unificante del sistema di istruzione e formazione in grado di favorire una programmazione unitaria delle diverse fonti di finanziamento, centrata sulla domanda”. Il ricorso originario (e l’appello principale) contesta l’intero impianto per discriminazione tra la pluralità di benefici (e le loro misure) concedibili agli studenti delle scuole statali e i benefici concedibili agli studenti delle scuole paritarie. Peraltro, la stessa Regione definisce la “integrazione al reddito” come una componente integrativa al Buono Scuola, finalizzata prioritariamente ad un ulteriore abbattimento della retta a favore degli studenti meno abbienti frequentanti le scuole primarie. Le studentesse odierne appellanti hanno proposto ricorso per ottenere la erogazione del buono scuola e, quindi, formulando pretese anche per ogni componente del buono scuola, compresa la integrazione al reddito; anche, hanno contestato il quantum del buono scuola e le sue componenti e integrazioni, rispetto agli altri benefici; non può escludersi che possano aspirare ad ogni tipo di beneficio o di sua componente e che in ogni caso possano mirare all’ottenimento dei benefici, una volta eliminate eventuali incongruenze tra gli stessi benefici. Pertanto, la sentenza si presenta immune dai dedotti vizi di violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo (richiamato anche da Ad. Plen. n. 4 del 13 aprile 2015) e non potendosi condividere la censura di carenza di interesse dei ricorrenti, per quanto sopra detto. 3.Verrà trattato successivamente il motivo di appello incidentale con il quale la Regione Lombardia deduce l’erroneità, per violazione dei principi di proporzionalità, della parte della sentenza che ha ritenuto illegittima e ingiustificata la determinazione della misura della “integrazione” del “buono scuola” in misura superiore a quanto previsto per il “sostegno al reddito”. 4.1.Va respinto l’appello principale nel quale vengono riproposte le censure già proposte e respinte in prime cure, tese a dimostrare l’illegittimità dell’intero sistema “Dote scuola” con particolare riferimento alla asserita discriminazione, consistente sostanzialmente nel favorire soltanto le scuole paritarie, per le quali è prevista la retta, rispetto agli studenti meno abbienti, che frequentano le scuole statali. A questo punto è necessaria l’esposizione del fondamento normativo delle delibere regionali. L’art. 33 della Costituzione stabilisce al quarto comma che la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali. La legge nazionale sulla parità scolastica, il diritto allo studio e all’istruzione (legge 10 marzo 2000, n.62) invocata più volte nell’appello, prevede all’articolo unico che le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico e accolgono (devono accogliere) chiunque richieda di iscriversi (comma 3); il comma 9 dell’art. unico prevede che lo Stato adotta un piano straordinario di finanziamento alle Regioni da utilizzare a sostegno della spesa sostenuta e documentata dalle famiglie per l’istruzione mediante assegnazione delle borse di studio; il comma 11 prevede che gli interventi sono realizzati prioritariamente a favore delle famiglie in condizioni svantaggiate. Restano, prosegue tale disposizione, fermi gli interventi di competenza di ciascuna Regione e delle Province autonome in materia di diritto allo studio. I primi due articoli della legge regionale stabiliscono principi generali, nella cui cornice si colloca l’art. 8 su cui si fonda la delibera impugnata. L’art. 1 prevede il principio del necessario rispetto delle norme generali sull’istruzione, dei principi fondamentali, dei livelli essenziali delle prestazioni e dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, con la precisazione che per sistema di istruzione e formazione professionale si intende l’insieme dei percorsi funzionali all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e all’obbligo di istruzione. L’art. 2 prevede la garanzia della centralità della persona, della funzione educativa della famiglia, della libertà di scelta e della pari opportunità di accesso ai percorsi, nonché il richiamo ai principi di libertà di insegnamento e della valorizzazione delle professioni educative, dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e formative e della parità dei soggetti accreditati che erogano i servizi L’art. 8 della legge regionale n. 19 del 6 agosto 2007, pubblicata sul BUR n.32 del 9 agosto 2007, prevede al primo comma che la Regione, anche al fine di rimuovere gli ostacoli di ordine economico che impediscono l’accesso e la libera scelta dei percorsi educativi e di facilitare la permanenza nel sistema educativo, può attribuire “buoni e contributi” alle famiglie degli allievi frequentanti le istituzioni scolastiche e formative del sistema educativo di istruzione e formazione. Al secondo comma prevede che le modalità di attuazione degli interventi e le forme di verifica della efficacia degli stessi sono definite dalla Giunta regionale, sulla base degli indirizzi del documento di programmazione economico-finanziaria regionale (DPEFR). Pertanto, il sistema delineato dalla Regione mira a rimuovere gli ostacoli di ordine economico che impedirebbero l’accesso e la libera scelta dei percorsi educativi. Sulla esigenza che il diritto allo studio sia reso effettivo anche per gli alunni iscritti alle scuole paritarie, si è espressa la Corte Costituzionale (sentenza 26 gennaio 2005, n.33). Con la delibera di Giunta n.IX/4688 del 16 gennaio 2013, la Regione Lombardia ha effettuato la programmazione del sistema “Dote” per i servizi di istruzione e formazione relativi all’anno 2013/2014 (secondo le articolazioni degli anni precedenti) distinguendo le diverse componenti, tra cui il sostegno al reddito, il sostegno alla permanenza nel sistema educativo, la premialità degli studenti meritevoli, la frequenza dei percorsi di istruzione e formazione professionale, il sostegno agli studenti con disabilità. Tra le varie misure si individuano, tra quelle in relazione alle quali l’appello lamenta disparità di trattamento o irragionevolezza del sistema: 1) il sostegno al reddito; 2) il beneficio per il merito; 3) il c.d. “Buono scuola”, che in realtà costituisce una misura complessa. Sono determinanti, al fine di distinguerli, sia i presupposti per i benefici, sia la loro misura in relazione al parametro correlato. Il “sostegno al reddito” è un beneficio rivolto a studenti residenti in Lombardia che frequentano corsi a gestione ordinaria presso scuole primarie, secondarie di primo grado e secondarie di secondo grado, statali e paritarie, che “non applicano” una retta di iscrizione o frequenza. Tale beneficio viene erogato in dipendenza del reddito riferibile secondo il parametro ISEE e oscilla tra un minimo di 60 euro ed un massimo di 290 euro. Il beneficio collegato al “merito” è destinato a studenti residenti in Lombardia, capaci e meritevoli (che abbiano concluso l’a.s. 2012/2012 il terzo anno), presso una scuola sia statale che paritaria e che abbiano conseguito una valutazione “eccellente”. Tale beneficio viene erogato in misura da euro 300 a euro 1000, in dipendenza di requisiti di merito e del reddito (secondo ISEE). E’ evidente che il primo beneficio è legato alla limitata capacità reddituale (i meno abbienti), anche se non pagano rette; il secondo è legato alla premialità del merito, pur commisurata al reddito. Il terzo beneficio è di tipo complesso, ed è destinato agli studenti residenti in Lombardia, iscritti e frequentanti corsi di gestione ordinaria, presso scuole primarie, secondarie di primo grado e secondarie superiori, statali e paritarie, che “applicano una retta di iscrizione o frequenza”. Tale beneficio composito comprende: a) il “buono scuola”, che varia da euro 450 a 900 euro in base all’indicatore di reddito, destinato a compensare il pagamento della retta; b) la “disabilità”, destinata a studenti portatori di handicap e diretta a sostenere i costi del personale insegnante impegnato in attività didattica di sostegno, con importo massimo di euro 3000, sganciata dall’indicatore di reddito; c) la “integrazione al reddito”, erogata come “buono servizi scolastici” ad integrazione del “buono scuola” in rapporto al valore ISEE riferibile allo studente e che varia da euro 400 a euro 950. La tesi proposta in primo grado e riproposta in appello è che varie siano le aporie e ingiustizie di tale sistema; in particolar modo, tale illegittimità sarebbe chiara nella previsione del “buono scuola” solo a favore degli studenti che frequentano le scuole paritarie, in quanto soltanto in tali scuole si prevede il pagamento di una retta di frequenza: il prevedere che il buono scuola sia destinato soltanto agli studenti che pagano una retta significa, in sostanza, destinarlo finanziariamente a favore dei soli istituti privati, in violazione di vari principi costituzionali, sopra richiamati. Altra incongruenza rilevata dall’appello principale consisterebbe nell’avere preso a parametro a volte l’ISEE (per il sostegno al reddito) e altre volte (buono scuola) altro indicatore di reddito. I motivi sono infondati. La legge regionale stabilisce che la funzione dei buoni e contributi è di rimuovere (ex art. 3 Cost.) gli ostacoli alla libertà di scelta degli studenti (buoni e contributi alle famiglie degli allievi); se una parte dei contributi è destinata a compensare lo stato di bisogno di alcuni studenti, altra parte è diretta a compensare gli impegni economici che direttamente gli studenti e le loro famiglie affrontano nell’esercizio del diritto (e dovere) allo studio e nella scelta della scuola a cui accedere. Non si ha ragione di indicare precedenti sentenze del giudice delle leggi dichiarative di illegittimità costituzionale con riferimento al divieto di finanze dirette a favore di scuole private (art. 33 terzo comma), in quanto i precedenti si richiamano a leggi regionali (n.433 del 1988 sulla legge Regione Umbria n.69 del 1981) in tal senso e non a previsioni di leggi regionali che consentono il riconoscimento di buoni e contributi alle famiglie degli studenti, come nella specie. La scelta di destinare il “buono scuola” soltanto a studenti di scuole statali o paritarie sottoposti al pagamento di una retta non è in contrasto con i principi costituzionali, né con le pronunce del giudice delle leggi, con la normativa nazionale ed è nel solco della legge regionale di cui costituisce attuazione. Le scuole private che ottengono la parità scolastica fanno parte a pieno titolo del sistema nazionale dell’istruzione e svolgono, come visto, un servizio pubblico, sicchè devono accogliere chiunque richieda di iscriversi, accettandone il progetto educativo (artt. 33 e 34 Cost.). Gli articoli costituzionali sopra menzionati esprimono i principi della libertà di insegnamento, dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e della parità dei soggetti accreditati che erogano i servizi; le scuole paritarie sono una parte integrante del sistema nazionale di istruzione e concorrono, con le scuole statali e degli enti locali, al perseguimento di un obiettivo prioritario, e cioè l’espansione della offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita. Conseguentemente, in materia di scuola ed istruzione la pluralità dell’offerta formativa è tale solo se i destinatari sono realmente posti in condizione di accedere ai percorsi scolastici offerti (anche) dalle scuole private, perché solo in tal modo si tutela la libertà di scelta e si assicura la pari opportunità di accesso ai percorsi offerti dalle scuole non statali. La previsione di benefici agli studenti, che ne sono gli unici beneficiari, in corrispondenza del pagamento della retta –si tratti o meno di istituti privati- non si identifica con un onere di funzionamento e finanziamento da parte dello Stato agli istituti privati (il terzo comma dell’art. 33 Cost. prevede che gli enti e i privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato). Tale sistema denominato “Dote scuola” nella delibera regionale si presente immune dai vizi agitati, in quanto si tratta, in realtà, di misure finanziarie dirette agli studenti e alle loro famiglie e tese a superare le condizioni di svantaggio economico, in modo da rendere effettiva e concreta la possibilità di “opzione” (è questo il punto centrale) per il servizio offerto dalle scuole paritarie. Non si tratta di finanziamenti diretti a favore delle scuole paritarie, ma del legittimo concorso, in concreto, di Stato e Regioni agli oneri finanziari correlati all’obbligo delle scuole paritarie di fornire le medesime prestazioni della scuola pubblica; si tratta di contributi normativamente stabiliti, tesi a garantire la effettiva possibilità di tutti gli studenti, compresi quelli disabili o meno abbienti, di frequentare una scuola non statale. Senza tali benefici, tale libertà di scelta sarebbe soltanto una ipotesi astratta. Il c.d. buono scuola è pertanto un beneficio che si presenta come pienamente coerente e non in contrasto con il quadro costituzionale e legislativo sopra evidenziato, essendo diretto a garantire la parità di trattamento tra tutti gli studenti, compresi i meno abbienti, che attraverso esso possono optare per la scuola pubblica o per quella privata. Non può essere considerata positivamente neanche la censura che, sotto diverso profilo, mira a sostenere che il buono scuola si tradurrebbe in una surrettizia forma di finanziamento alle scuole private; come detto, tale beneficio non spetta a ogni studente che intenda frequentare la scuola privata, ma solo agli studenti che, oltre a dover pagare una retta di frequenza, sono in una situazione economica familiare che lo consenta, sicchè non dipende solo dalla scuola che si intende frequentare, ma anche dalla esistenza di una situazione economica, secondo parametri di reddito già predefiniti. In definitiva, sia i presupposti del beneficio che la sua misura dipendono dalla condizione economica dello studente, al quale viene erogato, restando al sistema estranea ogni forma di finanziamento diretto alle scuole paritarie. 4.2. In relazione alle censure o alla questione di costituzionalità, la delibera regionale è nei limiti consentiti dalla legge regionale, che all’art. 8 si limita a prevedere buoni e contributi a favore delle famiglie degli allievi frequentanti scuole, senza ulteriori distinzioni; la scelta discrezionale di prevedere il “buono scuola” per coloro che pagano rette di frequenza, nel sistema complessivo della “Dote scuola” non pare né illegittima, né irragionevole o arbitraria, ma in piena coerenza con la piena libertà di scelta degli studenti e con il diritto allo studio. Il problema della legittimità del c.d. Buono scuola” non si pone neanche in termini di questione costituzionalità, che pertanto è manifestamente infondata, dell’art. 8 della legge regionale 19 del 2007, perché tale disposizione, come è evidente e più volte ribadito, non conferisce finanziamenti diretti alle scuole private, ma, in vero, neanche effettua una scelta rigida sulla questione, devolvendo l’attuazione alle scelte amministrative regionali, aventi anche valenza programmatoria. Il richiamo, da parte degli appellanti principali, alle varie leggi regionali (da pagina 2 e 3 della memoria depositata in data 27 marzo 2015), che in modo variegato prevedono anche esse la erogazione di contributi a favore degli studenti, proprio in considerazione della valenza generica della disposizione regionale lombarda, non aggiunge alcunché all’esame della questione, in quanto ciò che rileva è la concreta fase attuativa delle diverse leggi regionali e soprattutto la legittimità di un sistema, in vero consentito anche dalle altre leggi regionali richiamate, come quello definito in Lombardia “Dote scuola”, nella misura in cui sono ammessi e legittimi contributi e buoni agli studenti per cause analoghe. 5.Non è fondata neanche la riproposta censura di avere preso a riferimento, per il “buono scuola”, un parametro diverso e più complesso rispetto all’ISEE. La delibera (n.IX/4688 del 2013) indica parametri di calcolo migliorativi rispetto all’ISEE nazionale, ritenendo di dover tenere conto anche della composizione e della condizione del nucleo familiare e della presenza di persone con fragilità; tale parametro complesso si pone non solo più approfondito dell’ISEE (e quindi maggiormente rispettoso di tutte le situazioni), ma anche, in teoria, più vantaggioso, perché tiene conto anche di altre situazioni di bisogno e garantisce il beneficio anche in presenza di situazioni di reddito che altrimenti non lo consentirebbero. Inoltre, non può ritenersi sussistente la paventata disparità di trattamento rispetto al “sostegno al reddito”, parametrato con l’ISEE, in quanto quest’ultimo beneficio è diretto ad assicurare agli studenti di tutte le scuole la possibilità di acquistare gli strumenti necessari (libri di testo, materiale scolastico e altro), mentre, come ripetuto più volte, il “buono scuola” è diretto a rimuovere gli ostacoli di ordine economico che limitano la possibilità di accedere ai percorsi formativi presso le scuole per le quali si paga una retta. 6.La Regione ha appellato il capo di sentenza nella parte in cui ha ravvisato la cennata disparità di trattamento; i ricorrenti originari hanno appellato il resto della sentenza nella parte in cui non ha accolto i motivi, diversi da quello accolto, proposti in prime cure. E’ infondato il motivo di appello incidentale proposto dalla Regione, con il quale si ritiene erroneo l’accoglimento disposto dal primo giudice in relazione alla disparità di trattamento tra la componente “integrazione al reddito” erogata come “buono servizi scolastici” ad integrazione del “buono scuola” e il beneficio definito come “sostegno al reddito”. E’ evidente, come ha rilevato il primo giudice, che non possano essere trattate differentemente situazioni sostanzialmente uguali. Come ha osservato il primo giudice, il sostegno al reddito è diretto all’acquisto di strumenti scolastici e varia da euro 60 a euro 290. Il buono scuola è diretto, in estrema sintesi, a compensare il pagamento della retta di frequenza (varia da euro 450 a euro 900); ad esso si aggiungono il beneficio “disabilità” (fino a 3000 euro) e il beneficio “integrazione al reddito” come “buono servizi scolastici”, che ha la stessa natura del sostegno al reddito, nel senso che serve ad acquistare gli strumenti scolastici (libri e altro). E’ evidente che se entrambe le misure del “sostegno al reddito” e della “integrazione al reddito” – in disparte, in tale caso la questione, sopra esaminata della previsione e della spettanza del “buono scuola” – soddisfano le stesse esigenze, in sostanza l’acquisto dei libri e degli strumenti scolastici, conseguenzialmente non è corretto né logico prevedere, nel primo caso, la misura da euro 60 a euro 290 e, nel secondo caso, da euro 400 a euro 950 (che si aggiungono a integrare il buono scuola), quasi che il beneficio compensativo per l’acquisto degli strumenti scolastici debba essere di gran lunga molto maggiore per gli studenti che frequentano scuole per le quali pagano una retta rispetto agli altri studenti che non la pagano. Al riguardo, la Regione ha obiettato al ragionamento del primo giudice (pagine 18 e 19 dell’appello incidentale), sostenendo che si tratterebbe di misure analoghe ma non identiche, in quanto la integrazione, per l’appunto, integra il “buono scuola”. Il Collegio rileva che tale osservazione nulla aggiunge: è evidente che il “sostegno al reddito” serve, in buona sostanza, a garantire agli studenti meno abbienti l’acquisto di libri e altri essenziali strumenti scolastici mentre la “integrazione al reddito” fa parte di una misura più complessa, si affianca al “buono scuola” che serve per compensare il pagamento della retta di frequenza. E’ innegabile, tuttavia, che, pur con tale valenza integrativa, non si giustifica la differenziazione se le misure hanno le stesse funzioni, e cioè l’acquisto dei libri e di altri strumenti scolastici. 7.Per le considerazioni sopra svolte, va respinto l’appello principale; va respinto l’appello incidentale; conseguentemente, va confermata l’appellata sentenza. Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del presente grado, anche in ragione della reciproca soccombenza. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge l’appello principale e respinge l’appello incidentale, confermando l’appellata sentenza. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2015 con l'intervento dei magistrati: Filippo Patroni Griffi, Presidente Sergio De Felice, Consigliere, Estensore Claudio Contessa, Consigliere Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere Roberta Vigotti, Consigliere L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 18/05/2015
IL SEGRETARIO(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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