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domenica 6 novembre 2011

Comparto Scuola e reiterazione contratti a termine

Una delle problematiche giuridiche più attuali, anche per il contenzioso in vertiginoso aumento, attiene all’illegittimità dei contratti a termine stipulati nel comparto scuola. La materia è di particolare interesse anche per l’intreccio della normativa nazionale con quella comunitaria che necessariamente deve prevalere a fronte del mancato recepimento della stessa (quantomeno nelle modalità previste) da parte del legislatore italiano.

In proposito, sull’applicabilità del D. Lgs n. 368 del 2001 ai contratti a termine nel settore del scuola pubblica, merita una considerazione particolare l’intervento legislativo dello Stato italiano con il quale è stata introdotta la misura di cui alla Clausola 5 della Direttiva 1999/70/CE - lettera b) e cioè la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi.

Infatti, la legge 24 dicembre 2007, n. 247, ha modificato l’art. 5 del D.lgs. n. 368/01, introducendo il comma 4-bis (art 1, comma 40, L. n. 247/07), con cui ha prescritto un ulteriore “barriera” alla stipulazione di contratti a termine tra le stesse parti, prevedendo il limite massimo di 36 mesi (derogabile per una sola volta in presenza delle condizioni previste dalla seconda parte del comma 4 bis del già citato art. 5 D. Lgs. 368/01), superato il quale, il nuovo contratto a termine successivamente stipulato, si considera a tempo indeterminato.

Circa l’applicabilità (anche) del predetto art. 5, comma 4 bis, D. Lgs n. 368/2001, ai contratti a tempo determinato nella scuola pubblica è decisivo rilevare come il legislatore, con il D.L. 13 maggio 2011, n. 70, “Disposizioni urgenti per l’economia”, pubblicato in G.U. n. 110 del 13 maggio 2011, con decorrenza da tale data, convertito con modificazioni dalla Legge 12 luglio 2011 n. 106, abbia espressamente previsto che all'articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dopo il comma 4, e' aggiunto il seguente comma: "4-bis. …. sono altresì esclusi dall'applicazione del presente decreto i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso non si applica l'articolo 5, comma 4-bis, del presente decreto.".

Con predetta norma , il legislatore ha quindi esplicitamente previsto che il D.Lgs. n. 368/01 non si applicherebbe (più) ai contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA: detta disposizione, quindi, dimostra inequivocabilmente che, prima del 13 maggio 2011, il D.Lgs. n. 368/01 e segnatamente l’art 5, comma 4-bis, si applicava ai contratti a tempo determinato nel settore scolastico.

Detta conclusione, ad oggi, risulta confermata ed imposta, da una interpretazione comunitariamente orientata dell’art. 5, comma 4 bis, in esame, nonché ribadita dallo stesso Stato italiano, innanzi la Corte di Giustizia dell’Unione europea nella Causa C-3/10. In proposito si riportano, di seguito, i punti salienti dell’Ordinanza della Corte di Giustizia, Sesta Sezione, 1 ottobre 2010, Affatato):

“ (punto 48) A tale proposito, nelle sue osservazioni scritte il governo italiano ha sottolineato, in particolare, che l’art. 5 del d. lgs. n. 368/2001, quale modificato nel 2007, al fine di evitare il ricorso abusivo ai contratti di lavoro a tempo determinato nel settore pubblico, ha aggiunto una durata massima oltre la quale il contratto di lavoro è ritenuto concluso a tempo indeterminato e ha introdotto, a favore del lavoratore che ha prestato lavoro per un periodo superiore a sei mesi, un diritto di priorità nelle assunzioni a tempo indeterminato. Inoltre, l’art. 36, quinto comma, del d. lgs. n. 165/2001, come modificato nel 2008, prevedrebbe, oltre al diritto del lavoratore interessato al risarcimento del danno subìto a causa della violazione di norme imperative e all’obbligo del datore di lavoro responsabile di restituire all’amministrazione le somme versate a tale titolo quando la violazione sia dolosa o derivi da colpa grave, l’impossibilità del rinnovo dell’incarico dirigenziale del responsabile, nonché la presa in considerazione di detta violazione in sede di valutazione del suo operato. (punto 49) Analogamente a quanto già dichiarato dalla Corte nelle citate sentenze Marrosu e Sardino (punti 55 e 56), nonché Vassallo (punti 40 e 41), nei confronti dei provvedimenti previsti dal decreto n. 368/2001 nella sua versione originaria (v., altresì, ordinanza Vassilakis e a., cit., punto 128), così come in quelle riguardanti altre disposizioni nazionali paragonabili (v. sentenza Angelidaki e a., cit., punto 188, nonché ordinanza Koukou, cit., punto 90), una disciplina nazionale siffatta potrebbe soddisfare i requisiti ricordati nei punti 45- 47 della presente ordinanza”.

Tale interpretazione, circa l’integrale applicabilità alla P.A. del D.Lgs. n. 368/01, ed in particolare dell’art. 5, comma 4-bis (comprensiva della “sanzione” della conversione del contratto a termine), dopo le leggi nn. 244/07 e 247/07, è inoltre confermata, a livello logico – giuridico come pure a livello sistematico, dalle numerose disposizioni succedutesi ed incidenti sia sul D. Lgs. n. 368 del 2001, sia sull’art. 36 del D. Lgs 165 del 2001 (che, nelle diverse formulazioni succedutesi, non può risultare di ostacolo all’applicazione di una normativa di derivazione comunitaria e comunque ad una normativa comunitaria direttamente applicabile nello Stato italiano), nonché, da ultimo, sull’art. 4, L. n. 124 del 1999 (D.L. n. 112 del 2008, Legge n. 102/09, D.L. n. 134/09, L. n. 167/09, D.L. 25.09.2009, n. 134, D.L. n. 225/10, L. n. 10/11, D.L. 70/11 e L. 12 luglio 2011 n. 106: per una dettagliata disamina dell’evoluzione della normativa interessata da tali interventi si veda: Tribunale di Napoli 16 giugno 2011; Tribunale di Trani 18 luglio 2011). Ogni diversa interpretazione appare, sulla scorta del dato normativo interno, insostenibile, perché le predette disposizioni normative sarebbero, al contrario, prive di alcun effetto e significato giuridico.

In relazione al periodo di vigenza del limite temporale massimo di mesi 36 nel rapporto di lavoro nella scuola pubblica, si può opinare solo sul dies ad quem della vigenza dell’art. 5, comma 4-bis, e cioè se tale norma trova applicazione:

a) fino al 25.9.09, data di entrata in vigore del D.L. n. 134/09, convertito con modificazioni dalla L. n. 167 del 2009, che all'articolo 4 della legge 3 maggio 1999, n. 124, dopo il comma 14 ha aggiunto, il seguente comma: “14-bis. I contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze previste dai commi 1, 2 e 3, in quanto necessari per garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, non possono in alcun caso trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato e consentire la maturazione di anzianità utile ai fini retributivi prima della immissione in ruolo.”.

b) ovvero fino al 13.5.11 (data di entrata in vigore del già menzionato D.L. n. 70/11, convertito con modificazioni dalla Legge 12 luglio 2011 n. 106, concernente la menzionata modifica dell’art. 10 del D. Lgs. n. 368 del 2001, che, in relazione ai contratti a termine nella scuola, espressamente dispone che: “ …. In ogni caso non si applica l'articolo 5, comma 4-bis, del presente decreto.).

Le conseguenze derivanti dall’illegittimità dei contratti a termine nel particolare settore della scuola pubblica, relativamente al periodo successivo all’entrata in vigore dei predetti provvedimenti legislativi (sia esso dopo il 25 settembre 2009 oppure dopo il 13 giugno 2011), rimarranno comunque inquadrabili nella problematica dell’assenza, nella materia de qua, di una misura ostativa all’abuso del contratto a termine (e quindi riprende pieno vigore la tesi della violazione della Direttiva 1999/70/CE) nel pubblico impiego.

In conclusione, nella scuola pubblica, anche a voler ritenere che il periodo di vigenza del limite temporale massimo di mesi 36, si arresti al 25 settembre 2009, si dovrà procedere come segue:

- i contratti in essere al 1° gennaio 2008, esplicano i propri effetti fino alla naturale scadenza e ad essi non si applica la sanzione della conversione per il superamento del periodo massimo di 36 mesi;

- i contratti a termine sottoscritti a partire dal 1° gennaio 2008, che si sono conclusi entro il 31 marzo 2009 non hanno conseguenze sul piano della trasformazione in contratto a tempo indeterminato anche se, sommati ai contratti precedentemente sottoscritti, si è superato il limite di 36 mesi. Al contrario, qualora detti contratti, si siano conclusi oltre il 31 marzo 2009, e, sommati a quelli intrattenuti precedentemente, determinano il superamento del limite di 36 mesi, si avrà la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto lavorativo (Min. lav. Circ. 2.5.2008, n. 13).

- Nel caso di contratti a termine conclusi a partire dall’1.4.09, il periodo di lavoro già effettuato alla data del 1.1.08 (data di entrata in vigore della legge 247/07), si computa, insieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato comma 4-bis (in quanto, all’ 1.4.09 sono infatti decorsi quindici mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 247/07, così come previsto dalla disciplina transitoria della medesima legge).

- Ed infine, in considerazione del fatto che, nel particolare settore della scuola, la stipulazione dei contratti a termine avviene tra la fine di agosto e la fine di settembre di ogni inizio di anno scolastico, per tutti quei contratti a termine stipulati nei mesi di agosto/settembre relativi all’anno scolastico 2009/2010 (la cui stipula sia comunque avvenuta entro il 25 settembre 2009) non opera ancora la preclusione di cui all’art 1, comma 12-bis, della legge 124/99, come già introdotta dal D.L. 134/09, e pertanto, il periodo di lavoro già effettuato alla data del 1.1.08 (data di entrata in vigore della legge 247/07), si computerà, insieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione (e dell’eventuale superamento) del periodo massimo dei 36 mesi.

La richiamata norma “ostacolo” (la prima in ordine di tempo) a siffatto computo dei 36 mesi è infatti in vigore solo dal 25 settembre 2009 (data di entrata in vigore del D.L. 134/09, poi convertito con modificazioni con legge 167/09).

In ordine alla prospettata conversione dei rapporti di lavoro a termine in contratti a tempo indeterminato, vanno comunque segnalati opposti orientamenti giurisprudenziali, nel senso che, trattandosi di pubblico impiego, da un lato vi è chi, a priori, nega la conversione e limita le conseguenze ad un importo da corrispondersi a titolo di risarcimento del danno (da ultimo si cita Trib. Treviso, 18.4.2011), e, dall’altro, vi è chi ammette la conversione del contratto in rapporto a tempo indeterminato (di recente, v. Trib. Trani, 19.9.2011 n. 4554), in quanto coerente sia con la normativa comunitaria sia con l’art. 97 Cost., che sancisce il principio del pubblico concorso quale regola per l’accesso al pubblico impiego, atteso che il rispetto di una legge sovranazionale può esser fatto rientrare nei casi previsti dalla legge che l’art. 97 fa espressamente salvi (nello stesso senso Cass. n. 9555/2010, Trib. Siena 27.9.2010; Trib. Livorno 25.1.2011).

Circa la commisurazione del risarcimento spettante al dipendente tra i vari criteri proposti, si segnala Trib. Treviso 18 aprile 2011, secondo cui il danno dev’essere quantificato nella maggiore retribuzione che sarebbe spettata all’insegnante qualora fosse stato assunto a tempo indeterminato sin dalla conclusione del primo contratto a termine.(Avvocato Daniela Carbone)
Fonte Laprevidenza.it

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